“L’amore? No, solo un pessimo costume e una scusa da dilettante.”

C’è un amore che non grida subito.
All’inizio ti prende per mano con dolcezza. Ti guarda come se fossi tutto.
Poi, giorno dopo giorno, ti toglie l’ossigeno. Ma non te ne accorgi, perché lo fa lentamente.
Prima con piccoli silenzi. Poi con frasi taglienti dette sorridendo. Poi con sguardi che non ti vedono più.
E quando provi a ribellarti, ti fa sentire colpevole.
“Sei tu che mi hai fatto cambiare.”
Ci sono relazioni in cui la colpa si insinua piano, fino a diventare la tua compagna di letto.
E a quel punto non capisci più se stai chiedendo amore o perdono.
La persona con cui stavo mi faceva sentire sbagliata.
All’inizio mi ha incantata: tenerezze, attenzioni, presenza.
Poi sono arrivate le critiche. Le pretese. Il giudizio.
Io, dal canto mio, ho reagito.
Prima cercavo di capire, poi ho provato a spiegare, infine ho iniziato a ribellarmi.
Non in modo strategico, non sempre lucido. Ma con tutto il bisogno che avevo dentro.
Non per distruggere, ma per esistere.
Perché quando ti spogliano dell’ascolto, urlare diventa l’ultima forma di sopravvivenza.
Lui, invece, diceva che non lo meritavo più.
Che ero cambiata.
Che non ero più dolce. Che non lo ispiravo a fare cose belle per me.
Che non ero abbastanza.
Un vaso che non si colmava mai. Anzi, si riempiva solo di rancore.
Ogni volta che provavo a esprimere un bisogno, diventava una colpa.
E io, in mezzo, a oscillare tra il senso di vuoto e la speranza che tornasse quello di prima.
Poi, quella notte. In spiaggia.
C’erano i fuochi d’artificio.
Volevo solo un abbraccio.
L’ho cercato. Non è arrivato.
Mi sono allontanata.
Quando sento in me la rabbia preferisco allontanarmi, respirare, isolarmi e comprendermi.
A fine spettacolo sono tornata, in silenzio.
Nei suoi occhi, odio. Diceva che lo avevo messo in imbarazzo davanti agli amici.
Ho usato parole scomode, perché quel gelo mi stava bruciando viva.
Avevo bisogno di una reazione. Di qualsiasi cosa che non fosse quel muro.
Ci avviciniamo alla moto.
Nei suoi occhi, solo disprezzo.
E poi, il gesto.
Mi strappa il casco dalle mani, mi colpisce in pieno petto. Sale in moto, un calcio sul mio fianco.
E se ne va.
Mi lascia lì. A 25 chilometri da casa.
In strada, da sola, a piedi.
Tra dolore, paura, traffico e lacrime.
Ma anche in quel momento non ho provato odio.
Solo un vuoto sordo. E ancora, senso di colpa.
Nella sua filosofia di vita:
“Chi istiga, poi non si lamenti.”
E dentro di me quella frase ha cominciato a scavare.
Ma non è colpa mia.
E oggi voglio dirlo chiaramente:
non è colpa mia.
Non si legittima uno stupro per una gonna corta.
Non si giustifica un omicidio con un: “mi ha sfidato.”
Non si può accettare l’idea che “certi lati di una persona” emergano solo se qualcuno li provoca.
Mi ha detto più volte:
“So di avere questa parte, questa propensione. Il mio compito è solo trovare qualcuno che non me la faccia uscire.”
Ecco, questa è la vera fuga.
La via dei codardi.
Di chi non ha il coraggio di fare i conti con ciò che è.
Di chi non si assume la responsabilità della propria ombra.
Come se il problema fosse sempre negli altri, mai nel proprio modo di amare, di reagire, di stare al mondo.
Questa è codardia travestita da consapevolezza.
Chi è davvero consapevole della propria parte distruttiva non cerca chi la plachi, ma si impegna a conoscerla, affrontarla, trasformarla.
La psicologia parla di proiezione: quando non vogliamo guardare dentro di noi, proiettiamo sugli altri le nostre ombre.
Ma le ombre non spariscono così.
Chi non affronta il proprio lato oscuro finisce per distruggere tutto ciò che tocca.
Viene chiamato evitamento: invece di affrontare il dolore, lo si rimuove, lo si nega, lo si proietta.
Ma ciò che non affronti, si ripete.
E chi non si guarda dentro, prima o poi distrugge ciò che ha intorno.
Essere uomo non è contenersi solo quando l’altro è docile.
Essere uomo è sapere chi sei, anche nei tuoi lati più bui, e scegliere di non fare male.
Non significa controllarsi solo quando l’altro ti tranquillizza.
Essere uomo è lavorare su di sé.
È sedersi accanto al proprio buio, riconoscerlo, dargli un nome e un limite.
È come camminare ogni giorno con una bestia al fianco: o impari a tenerla al guinzaglio, o prima o poi azzannerà chi ami.
E non sarà colpa sua. Sarà colpa tua, se l’hai ignorata.
Io, nel frattempo, ho raccolto i miei pezzi.
Mi sono curata, mi sono ascoltata, mi sono rimessa in piedi.
E oggi cammino con passi miei.
Non ho vergogna di dire quello che ho vissuto.
Scriverlo mi aiuta. Mi aiuta a guardare la storia con occhi più lucidi.
A separare ciò che ho provato da ciò che è davvero accaduto.
A vedere la realtà da fuori, senza annebbiarla con il dolore.
A ricordarmi che raccontare non è debolezza.
È libertà.
Il male, quando lo guardi in faccia, non ha più il potere di definirti.
E anche se fa ancora male, oggi so che non mi distrugge più.
E anche se sono stanca, anche se non ho risposte per tutto, so questo:
La colpa non è mia.
E non voglio più sentire che “devo trovare qualcuno che non faccia uscire il peggio da lui.”
Io non sono uno specchio su cui riversare ciò che non si vuole vedere.
Chi sceglie di non lavorare su se stesso, sceglie di ferire.
E la responsabilità di quel dolore è solo sua.
“Gli uomini travestiti da pecora? Ah, quelli non cambiano mica perché tu li guardi con gli occhi pieni di speranza o li convinca con i tuoi discorsi da terapeuta improvvisata. No, loro restano lì, ben mimetizzati nel gregge, pronti a mostrarti che sotto quel pelo morbido si nasconde il solito lupo, con magari solo un pigiama più carino. La vera abilità, cara, è imparare a riconoscere quel travestimento prima di offrirgli il divano, il cuore o, peggio, la tua pazienza. E se proprio ti va male, almeno ricordati: l’amore vero non dovrebbe mai farti sentire come se stessi giocando a nascondino con la realtà”
“Men disguised as sheep? Oh, they don’t change just because you look at them with hopeful eyes or try to convince them with your makeshift therapist talks. No, they stay right there, perfectly camouflaged in the flock, ready to show you that beneath that soft fur hides the usual wolf — maybe just in a nicer pair of pajamas. The real skill, darling, is learning to spot that disguise before you offer them the couch, your heart, or worse, your patience. And if things go really wrong, just remember: true love should never make you feel like you’re playing hide-and-seek with reality”
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