Il mare sotto la superficie

Ci sono momenti in cui, quando qualcuno se ne va, il dolore non si annida solo nel vuoto che lascia, ma nella guerra silenziosa che si scatena dentro di te. Non contro di lui, come sarebbe giusto, logico, necessario, ma contro te stessa.
Sì, perché invece di alzare il mento e vedere con chiarezza l’evidenza, che l’uomo in questione era privo del coraggio necessario per restare, amare, combattere, la tua mente si trasforma in un tribunale spietato. E l’imputata sei tu.

Ti ritrovi a riscrivere ogni scena, ogni parola, ogni silenzio. A chiederti se sei stata troppo, o troppo poco. Se sei stata sbagliata in modi che non riesci nemmeno a nominare.
È stupido, lo sai. Ma c’è qualcosa dentro che preferisce darsi la colpa, perché l’alternativa, accettare che l’altro fosse semplicemente incapace, fa ancora più male. Perché almeno, se è colpa tua, puoi migliorarti. Aggiustarti. Controllare il disastro.

Eppure, col tempo, qualche notte insonne dopo, qualche lacrima in meno, e un po’ di amore in più verso te stessa, ti accorgi che non sei rotta. Sei solo umana. E in questa umanità a volte si ama con troppa fame, si chiede con troppa paura, si dona con troppa speranza.
Non sei sbagliata. Solo intensa. Profonda. E spesso, troppo viva per chi sa solo amare in superficie.

E allora ecco cosa succede quando il dolore scava, quando la mente mente, e quando il cuore, invece di accusare, si accusa. Uno sguardo sincero dentro di sé, quando tutto questo, semplicemente, accade.

Buona lettura.

La fine di una storia non è mai un punto. È una linea spezzata che continua a tremare dentro.
Oggi il peso della rottura mi sembra insostenibile.
Mi manca.
Mi manca terribilmente.
E il desiderio di tornare tra quelle braccia grida dentro di me più forte di qualsiasi logica.

Le domande si affollano.
Le risposte si nascondono.
E resta questa sensazione difficile da nominare:
forse il mio bisogno di ricevere amore è più grande della mia capacità di amare.

Sembra una confessione scomoda, lo so.
Ma è la mia verità. E non voglio più nasconderla.

Se un giorno qualcuno vorrà starmi accanto, credo che non gli racconterò favole.
Non mi mostrerò più forte di ciò che sono.
Dirò, forse con un sorriso triste:
“Sai perché è finita la mia ultima storia? Forse perché sono una brutta persona.”

Non lo credo davvero, ma è ciò che a volte sento.
Perché so di essere difficile.
So di essere un insieme di parti che si contraddicono.
Una parte di me vuole accogliere, l’altra si difende.
Una parte ama profondamente, l’altra ha paura di non essere amata abbastanza.
E quando il bisogno prende il sopravvento, tutto si complica.

Ho bisogno di attenzioni. Di gesti semplici ma costanti.
Di parole che mi dicano che esisto, che valgo, che posso smettere di lottare.
Ho bisogno di sapere che c’è un porto dove posso fermarmi senza dover meritare tutto, sempre.

Mi comporterò male?
Probabilmente sì.
Non per cattiveria, ma perché quando il bisogno è troppo, l’amore si confonde.
Diventa richiesta, diventa aspettativa, diventa timore.
Non è un vuoto, è un vortice.

Chi vorrà entrare nel mio cuore dovrà sapere che non troverà una strada semplice.
Sarà un viaggio tortuoso, dentro le mie insicurezze, tra le mie paure più profonde.
Sarà una sfida.
Sarà come aprire un forziere chiuso con dodici catene.
E lì dentro ci sono io: fragile, affamata d’amore, in cerca di protezione.
Forse l’ho perso per questo.
Forse non sono riuscita a fargli sentire tutto ciò che provavo.
Eppure, nel cuore… oh, sì che l’ho amato.
Lo amo ancora.
Ma fuori, nei gesti, nel quotidiano… non è bastato.
Non l’ho fatto sentire al sicuro.
Non abbastanza.

Stare con me è difficile.
Non impossibile, ma richiede coraggio.
Perché dentro di me convivono spinte opposte: il bisogno di fusione e il desiderio d’indipendenza, la voglia di amare e la paura di perdere.
E queste forze mi attraversano, si scontrano, si cercano.

Amarmi è un viaggio dell’eroe.
Per chi non cerca la perfezione, ma la verità.
Per chi sa che amare qualcuno significa anche imparare a sostenerne le contraddizioni, i vuoti, le ombre.
E non per riempirli, ma per abitarli insieme.

Mi ha detto: “Ti lascio, non ci penso, mi butto.”
Come se andarsene fosse il salto nel vuoto.
Ma io credo che il vero lancio sarebbe stato restare.

Il desiderio che lui potesse trovare il coraggio era forte.
È ancora forte.
E grida dentro di me.
Speravo con tutta me stessa che potesse comprendermi e restare.
Gliel’ho detto tante volte: “Resta.”
E lui è rimasto.
È rimasto spesso.
Fino a quando ha deciso di non farlo più.

Troppo arduo questo posto.
Questo labirinto ingannevole che cambia, blocca, spaventa.

Mi fermo.
Mi ascolto.
E nell’immaginare questo universo complesso che io sono, comprendo una cosa:
amare non è solo dare, e nemmeno solo ricevere.
È un equilibrio fragile, una danza tra il riconoscere sé stessi e lasciarsi vedere dall’altro.
E forse, solo forse, l’amore più grande è quello che ci permette di integrare tutto:
la nostra luce e la nostra ombra, il bisogno e la generosità, la paura e il coraggio.

Non so ancora se ne sono capace.
Ma sto imparando.

Benvenuto