C’era una volta una donna che parlava troppo. Troppo intensa, troppo viva, troppo tutto.
Lui voleva pace, lei faceva domande.
Lui cercava silenzi, lei offriva verità.
All’inizio taceva. Per amore, per paura, per non perdere.
Ma poi no. Poi ha capito che abbassare il volume non rende più dolce la voce, la spegne.
E lei voleva restare. Ma intera.
“Questa era una fiaba, un sogno mai vero,
castelli sontuosi, ma vuoti davvero.
Le stanze lucenti, ma fredde e perfette, promesse a metà, verità mai dette.
Sorrisi educati, passi trattenuti,
parole di vetro, cuori nascosti e muti.
Il re se n’è andato, senza un rumore,
lei ha pianto sola, senza più calore.
E poi… beh, il resto non si può raccontare, si sente nel silenzio che sto per narrare“

Quando una storia si interrompe, all’inizio non sembra una fine.
È solo un silenzio in più. Un gesto in meno.
Ma poi passano i giorni, e quella sospensione si trasforma in qualcosa di reale. Si apre un varco. Una distanza che prende forma.
All’inizio è solo percezione, un’ombra sottile che si insinua tra i pensieri.
Poi diventa un vuoto pieno di assenze, che si allarga, e ti costringe a vedere. E con il varco, arrivano i pensieri.
Tantissimi.
Confusi.
Contraddittori.
Una tempesta di “se” che vorrebbero riscrivere tutto. Se avessi fatto questo, se avessi detto quell’altro. Cerchi l’errore, come se trovarlo potesse rimettere insieme i pezzi.
E ti chiedi:
quando si è rotto davvero tutto? C’è stato un momento preciso? O era solo un accumulo lento e silenzioso, che io non volevo vedere?
Le domande si rincorrono. Alcune trovano risposte. Altre restano lì, senza voce.
Nel frattempo, la mancanza scava. Non quella dell’altro, ma quella dell’idea che avevi costruito. Del futuro che avevi immaginato. Dei gesti, delle promesse, delle piccole cose quotidiane.
E quei ricordi, ora, fanno male. Fanno male proprio perché erano belli — o sembravano esserlo.
Ogni giorno è un’alternanza. Consapevolezza e dolore.
Luce e buio.
Un continuo chiedersi perché, anche quando le risposte non portano pace.
Forse ho vissuto una storia mia.
Tutta mia.
E lui la sua.
Due realtà parallele, che si sono sfiorate senza mai incontrarsi davvero. Due narrazioni diverse, dove ognuno scriveva un copione che l’altro non leggeva.
E oggi mi chiedo: come si fa ad ammettere a se stessi che niente era come si immaginava?
Che ciò che sentivi era vero per te, ma non per lui. Che la connessione che percepivi era solo tua. E che ogni volta che forzavi il silenzio, stavi in realtà rinunciando a qualcosa di te.
Io ci credevo.
Con tutte le mie paure, sì, ma ci credevo. Volevo esserci.
Le cose che non andavano volevo affrontarle. Ero presente anche quando non era giusto. Anche quando faceva male.
All’inizio tacevo. Mi adattavo. Facevo spazio. Pensavo che amare significasse comprendere tutto, anche l’ingiustificabile. Ma poi no.
Poi ho iniziato a parlare.
Ho iniziato a dire cosa provavo, a mettere limiti, a chiedere verità. Non volevo più fingere.
Non volevo più restare al prezzo di tradire me stessa. E proprio quando ho smesso di tacere, ho iniziato a capire.
Lì ho visto tutto.
Ho visto quanto ero sola in quella relazione. Quanto fossi diventata accondiscendente, non per amore, ma per paura. Paura di perdere.
E invece, proprio nel cercare di non perderlo, stavo perdendo me.
E oggi, la mancanza è ancora lì. Fa rumore, a volte.
Ma mi chiedo: cosa mi manca davvero? Mi manca chi non ha avuto cura di me? Mi manca chi ha scelto di andarsene senza proteggere il mio cuore?
La verità è che non ho perso nulla.
Una persona ha deciso per entrambi.
E quel vuoto che sento oggi non parla di lui. Parla di me. Della mia capacità di amare. Del mio modo di crederci, anche quando era difficile.
Di restare, anche quando tutto spingeva alla fuga.
Io amo le cose belle, nei miei pensieri solo dolci ricordi.
A quelli mi lego.
E così, anche se mi ha ferita, dentro di me resta il bello.
O forse, resta solo l’illusione di ciò che poteva essere.
Ma è lì che si annida la forza più grande: nel riconoscere che non era reale, e smettere di rincorrerlo.
Cercavo un uomo che sapesse restare. Un uomo capace di attraversare anche le mie tempeste.
Perché sì, a volte sono difficile. Sono intensa, sono profonda, sono complessa.
Ma sono un mondo intero.
Sono anche cura, casa, amore.
Sono voce, verità, presenza.
Non fidatevi di chi vi dice che non vuole discussioni. Perché non sta cercando donne con valori, con spessore, con pensiero.
Vuole donne che non disturbino. Che si annullino.
Che sorridano anche quando vorrebbero piangere.
Che abbraccino quando vorrebbero allontanarsi.
Che tacciano, anche quando dentro tutto urla.
Diffidate di chi non si mette mai in discussione. Quelli non cercano una relazione. Cercano uno specchio.
Qualcuno che non li contrasti, che li confermi.
Ma non si può amare davvero senza mettersi in crisi, senza cadere e ricostruire.
Oggi so che quel varco che si è aperto con la fine, è anche un passaggio. Una soglia. Un luogo doloroso, ma necessario.
Perché ora, lì dentro, ci sono io.
E questa volta, non mi perdo. Non mi rinnego.
Non mi zittisco. Questa volta, mi scelgo.
Perché a forza di cercare chi sapesse restare, ho capito che la prima a non andarsene più, devo essere io.
Ci sono uomini che si autoincoronano “Re del Silenzio” e “Padroni delle Decisioni”: loro decidono cosa va detto, cosa va taciuto, cosa è giusto e cosa no. E tu? Tu devi solo stare zitta, annuire, sorridere, anche quando dentro vorresti mandare tutto a quel paese.
Ma ecco la verità: non cercano una compagna, cercano uno specchio senza voce. Uno specchio che confermi la loro grandezza e nasconda la loro paura di essere messi in discussione.
Perché chi comanda davvero ha paura che una donna metta limiti, chieda verità, parli.
Il vero potere? È proprio quello che più temono: una donna che smette di tacere, che si sceglie, che dice “No, grazie” al posto di “Sì, per favore”.
E mentre loro giocano a fare i grandi decisori, tu impari che la forza più grande è togliere il microfono a chi voleva solo farti zittire.
Perché, amica mia, le storie finiscono come i tacchi a fine serata: all’inizio quel fastidio lo ignori, poi diventa insopportabile, e infine ti chiedi come hai fatto a reggere tutto quel peso senza cadere.
Meglio un buon bicchiere di vino e una risata amara, che un uomo che vuole solo un silenzio obbediente e una donna che si annulla.
L’amore è complicato, certo, ma perdere la dignità? Quello sì che è un flop.