
Ci dicono continuamente di amarci.
Di amarci prima, amarci meglio, amarci sempre.
L’amore per se stesse è diventato una specie di must,
una parola d’ordine da ripetere come un mantra davanti allo specchio,
tra un sorso di centrifuga verde e una maschera detox.
Ce lo insegnano i libri, i podcast, le storie su Instagram
che si alternano a foto di gatti, tramonti e frasi motivate su uno sfondo beige.
“Ama te stessa.”
“Sei abbastanza.”
“Nessuno può darti ciò che non ti dai da sola.”
E allora ci proviamo.
Amati profondamente.
Amati prima di amare gli altri.
Come brave allieve della nuova scuola del benessere emotivo.
Amati mentre lavi i piatti,
mentre fai yoga con le braccia tremanti,
mentre ascolti podcast di donne che si sono ritrovate dentro un ritiro spirituale in Toscana.
E ok, ci sto.
Sul serio.
Ma a volte, anche con tutta la mia buona volontà,
anche dopo essermi fatta lo scrub corpo
e aver ripetuto “self-love is my birthright” per tre minuti davanti allo specchio
mi viene solo da guardare la luna e chiedermi:
“C’è qualcuno, da qualche parte, che mi sta pensando con amore?”
E non intendo pensare tipo “Sarà viva?”,
ma proprio con amore.
Quel pensiero che ti fa sentire meno sola anche se sei sul divano con una coperta
e Netflix che ti chiede per la terza volta se stai ancora guardando.
Facciamo yoga,
ascoltiamo playlist che si chiamano “self love vibes”,
ci regaliamo giornate detox con la scritta “me time” evidenziata sul calendario.
A volte ci concediamo quei piccoli rituali
che sembrano scritti in una sceneggiatura romantica:
un bagno caldo con sali rosa dell’Himalaya,
l’incenso al sandalo acceso con la cura di un rito giapponese,
jazz francese in sottofondo,
luce soffusa e il telefono lontano, lontanissimo.
Eppure, anche in quel momento perfetto,
in quell’istantanea da rivista, può arrivare la fitta.
Quella fessura nell’anima che ci ricorda che sì,
è bello amarci,
ma è anche bello — immensamente bello — sapere che qualcuno, da qualche parte, ci sta pensando.
Magari non lo ammettiamo.
Magari lo nascondiamo sotto pile di mindfulness,
meditazione,
obiettivi di carriera e solitudini ben organizzate.
Ma la verità è che, sotto tutto,
in fondo al fondo,
resta quel desiderio antico:
sentirci amati.
Non necessariamente da un partner,
ma da qualcuno.
Sentire che siamo nella testa e nel cuore di qualcun altro.
Che siamo abbastanza importanti da occupare uno spazio in una giornata.
Che ci sia qualcuno che guarda la luna nello stesso momento e, anche solo per un attimo, pensa:
“Chissà come sta.”
E in quel pensiero ci sentiamo più forti.
Più leggere.
Più vive.
Perché amarsi è bellissimo,
ma sapere che qualcuno, da qualche parte, ti ha pensata…
beh, quella roba lì ti rianima anche il cuore più chiuso.
Ti rimette in moto.
Come girelle impazzite al primo colpo di vento,
vorticose e colorate,
con l’energia esplosiva di chi si sente visto, scelto, considerato.
Abbiamo provato a sostituire questo bisogno con mille attività.
C’è chi si butta a capofitto nel lavoro,
chi diventa la regina degli hobby creativi,
chi si allena compulsivamente,
chi cura le piante come fossero neonati.
Altri si rifugiano nei figli,
amandoli con una dedizione così totale
da dimenticare perfino di passarsi il filo interdentale prima di dormire.
Altri ancora riversano tutto l’amore possibile sugli animali,
parlando con il cane: “Giornata lunga anche per te, eh?”
Che poverino ci guarda mentre gli spieghiamo i nostri traumi familiari
e noi lo umanizziamo così tanto da chiedergli se anche lui si sente trascurato.
Cerchiamo sbocchi, direzioni, contenitori dove versare l’amore che ci esplode dentro.
Perché sì, ne abbiamo tanto.
Ne abbiamo da vendere.
Abbiamo così tanto amore dentro che non sappiamo dove metterlo.
Un altro aspetto di cui nessuno parla abbastanza:
quanto amore abbiamo dentro da dare.
Siamo pieni.
Colmi.
Strabordanti.
E quando non troviamo dove metterlo,
quell’amore cerca una via d’uscita.
Allora lo diamo ai figli.
Li sommergiamo di attenzioni, affetto, zucchero e ansie.
Oppure lo diamo ai nostri animali domestici, umanizzandoli fino all’esaurimento:
parliamo con loro, chiediamo consigli, pretendiamo empatia.
Altri lo versano nel lavoro,
con dedizione e fuoco,
sperando che il successo restituisca almeno un po’ di calore.
E poi ci sono quelli che amano a caso. A tentoni.
Che buttano amore nel mondo sperando che qualcosa torni indietro.
Anche solo un messaggio, una canzone, uno sguardo.
Perché non ce la facciamo a tenere tutto dentro.
L’amore è una valigia senza chiusura.
La portiamo sempre dietro strapiena di sentimenti:
rossa, scomoda, traboccante, con la zip che cede,
e ogni tanto ci scappa qualcosa fuori: una lacrima, un pensiero, un bisogno.
E mi sono chiesta:
ma non sarà che il vero atto d’amore è lasciarsi amare?
Fidarsi.
Aprirsi.
Dire “ok, entra pure”,
anche con tutte le paure del caso.
Forse l’amor proprio è solo il punto di partenza.
Serve.
È fondamentale.
È la base.
Ma il salto, quello che ti fa sentire viva, piena, intera,
succede quando capisci che puoi essere amata davvero.
Senza performance.
Senza filtri.
Solo perché sei tu.
Esattamente così.
E allora ho pensato che forse non dobbiamo per forza bastarci.
Che non è un fallimento sentire il bisogno di qualcuno.
Che non è una debolezza chiedere di essere amati.
Magari è solo umanità.
Abbiamo riversato fiumi di emozioni nei libri,
nei film,
nella musica.
Abbiamo scritto romanzi, saggi, poesie, diari segreti, lettere d’amore mai spedite.
Platone ci ha raccontato, nel Simposio, che siamo anime divise,
e che amiamo per ricomporci.
Freud ci ha spiegato che l’amore nasce dalla mancanza.
Erich Fromm, in L’arte di amare, ci ha insegnato che l’amore è un atto di volontà,
non un colpo di fortuna.
E bell hooks ha scritto che l’amore non è un sentimento: è un’azione.
Un impegno.
Abbiamo letto tutto.
Abbiamo sottolineato.
Abbiamo anche fatto i compiti a casa.
Eppure eccoci qui.
Davanti alla luna,
ancora con quella domanda in sospeso sulle labbra.
Perché il punto è questo:
sentirsi amati è una rivoluzione silenziosa.
Da Platone a Fromm, da Sartre a bell hooks,
l’amore è sempre stato indagato, sezionato, messo sotto la lente.
È desiderio.
È mancanza.
È fusione.
È rispecchiamento.
È abisso e salvezza.
È il nostro specchio più feroce.
Eppure non ci stanchiamo mai di raccontarlo.
Il cinema, poi, ci ha cresciute a colpi di baci sotto la pioggia e messaggi scritti a mano.
Ci ha fatto piangere con Titanic,
sperare con Notting Hill,
illuderci con La La Land,
sognare con Before Sunrise,
ridere con Harry ti presento Sally.
L’amore è ovunque, ci dicono.
Ed è vero.
È nei piccoli gesti.
Nei silenzi che parlano.
Nelle attese.
È in quella lettera che arriva dopo mesi,
che leggiamo sedute sul letto con il cuore che batte come quello di una ragazzina al suo primo appuntamento.
È in un buongiorno ricevuto mentre si è in pigiama e con i capelli disordinati,
eppure si sente di avere qualcosa da offrire al mondo.
Ma poi, quando ci fermiamo, davvero,
e torniamo dentro di noi,
ci accorgiamo che, nonostante tutta la letteratura,
tutta la filosofia,
tutta la psicologia,
una sola domanda resta intatta nel cuore:
c’è qualcuno che mi ama?
Non nel senso romantico da film smielato,
ma in quel modo radicale in cui qualcuno ci vede davvero,
ci sente,
ci considera.
Perché è in quel momento che ci sentiamo parte.
Che ci sentiamo al centro di qualcosa,
anche solo per pochi istanti.
E quei pochi istanti bastano a farci girare, vibrare, vivere.
Ho conosciuto persone che hanno trasformato la loro assenza d’amore in carburante.
Hanno fatto carriera.
Hanno creato imperi.
Hanno decorato le loro case con una cura maniacale,
come se potessero trasformare il vuoto in bellezza.
Eppure bastava poco per farli crollare:
un silenzio,
una porta chiusa,
una sera in cui nessuno chiedeva “Come stai davvero?”.
Non sono un’ esperta d’amore.
E di certo non sono la persona giusta per dispensare consigli relazionali.
La mia vita sentimentale ha più disastri della filmografia di Woody Allen,
eppure qualcosa l’ho capito.
Quando qualcuno ci ama, davvero,
qualcosa in noi si riaccende.
E se quell’amore viene a mancare,
si spegne una luce.
Forse non del tutto.
Ma quel piccolo interruttore in fondo allo stomaco,
quello che ci fa brillare,
si offusca.
La vita continua, certo.
Ma ha meno sapore.
È come mangiare pasta in bianco
quando sai che in frigo c’era il ragù.
Basta una persona.
Una sola, che ci veda,
ci pensi,
ci scelga.
Ci possiamo riempire di incensi,
di sali,
di libri
e di frasi ispirate,
ma il cuore chiede una sola cosa:
essere riconosciuto.
Visto.
Amato.
Anche solo per un attimo.
Perché quando qualcuno ci ama,
anche il bagno con le candele diventa un rito sacro,
e anche la solitudine si trasforma in spazio sacro.
E allora sì, continuiamo ad amarci.
Ma smettiamola di farlo con la pretesa che ci basti per sempre.
Perché forse, l’amor proprio non è altro che prepararsi bene,
con oli, incensi e musica dolce,
per essere pronti,
quando l’amore vero bussa.
E accoglierlo.
E dirgli: “benvenuto, finalmente”.