A volte basta una notte qualunque, un po’ di silenzio, e nessuna distrazione all’orizzonte.
Niente messaggi da rileggere, niente playlist malinconiche in sottofondo.
Solo me, i miei pensieri… e quel vecchio vizio di volerci capire qualcosa.
Non ho trovato risposte.
Ma ho trovato me.
E il modo più onesto che conosco per starmi accanto: scrivere.

Ci sono dolori che non lasciano neppure la forza di parlare.
Quelli che ti attraversano come una tempesta, e dopo non sei più la stessa.
Li conosco.
Ci sono passata, senza clamore, senza presunzione.
Ma oggi voglio soffermarmi su un altro tipo di dolore.
Quello che arriva quando una storia d’amore finisce.
E con lei se ne va anche un pezzo della nostra identità, dei nostri riti quotidiani, della nostra idea di futuro.
È di questo che scrivo qui.
È il tema del mio blog.
Il mio piccolo osservatorio emotivo sul cuore umano.
E, come sempre, parto da me.
Ho scritto molto, e spesso senza punteggiatura emotiva, su ciò che mi è frullato nella testa e nel cuore dopo la rottura.
Rottura: che parola delicata per dire “ti lascio, arrangiati”.
Il mio compagno ha fatto i bagagli.
E no, non per portarmi a Parigi.
Né a Bali.
Ha fatto i bagagli per andarsene. Punto.
Mi sono trovata da sola, in salotto, con la tazza della tisana ancora calda e l’anima completamente ghiacciata.
E allora ho fatto quello che molte fanno:
Ho pianto.
Tanto.
Poi ho immaginato il suo ritorno trionfale, tipo una scena hollywoodiana da manuale, con la pioggia, un mazzo di fiori e un discorso da Oscar.
E ho aspettato.
E lui? Niente. Neanche uno “scusa, ho dimenticato il caricabatterie”.
Mi aveva detto:
“Adesso starai male, poi mi odierai, poi ti passerà.”
Il Bignami del dolore romantico.
Manuale d’istruzioni per relazioni usa e getta.
Un vero guru delle emozioni, versione IKEA: tutto schematico, tutto smontabile.
Il cervello umano, forse, lo conosceva anche bene.
Ma il cuore? Quello sembrava averlo lasciato in una vecchia relazione del 2009.
Aveva una collezione di storie sentimentali come certe fashion blogger hanno quella di borse: tutte belle, nessuna davvero necessaria.
E una teoria infallibile:
Stiamo insieme, poi io ti lascio, tu soffri, mi odi, mi dimentichi.
Una catena di montaggio del distacco.
Peccato che io non ho trovato l’ingresso a questa catena.
A me non è mai successo.
Non ho una sfilza di ex da elencare come trofei.
E forse, come diceva lui con aria da saggio zen:
“Devi fare esperienza.”
Peccato che io ho quasi mezza età.
Come lui.
Ma lui evidentemente si sente ancora in “fase tirocinio affettivo”.
Se crescere significa collezionare una decina di relazioni fallimentari, mi spiace: non mi interessa accumulare bollini per vincere il peluche dell’illuminazione.
Eppure, oggi posso dirlo:
non lo odio.
Non ci riesco.
Non è una parte che mi viene naturale recitare.
Quello che mi viene naturale, invece, è provare dolore.
Dolore vero, nudo, senza filtri.
Dolore misto a incredulità.
Come se mi fossi svegliata su un pianeta sbagliato.
Uno che non è la Terra.
Uno che non ha nemmeno l’opzione “torna a casa”.
E lì, proprio lì, ho capito che davanti al dolore ci sono solo due scelte:
Cadere nella disperazione e lasciarlo vincere.
O Usarlo.
Sì, usarlo.
Perché quando ti si spezzano le viscere e ti ritrovi col cuore in mano, e non è una metafora, ti viene spontaneo chiederti:
Che diavolo me ne faccio adesso di tutta questa sofferenza?
E l’unica risposta sensata che mi è venuta è stata:
la uso.
Uso il dolore per scrivere.
Per danzare dentro i miei pensieri.
Per fare l’unica cosa che può riportarmi a galla: esplorarmi.
E così ho iniziato il mio personale viaggio dantesco.
Senza Virgilio, senza guida turistica.
Ma l’Inferno l’ho trovato.
Altroché.
Ho iniziato da lì. Dal buio. Dal fondo.
Il cammino sarà lungo, e spesso mi sembra di avere le scarpe sbagliate per affrontarlo,
ma l’importante è iniziare a camminare.
Ho preso tutte le mie parti interiori, quelle in lacrime, quelle arrabbiate, quelle che avevano solo voglia di sparire, e le ho messe attorno a un tavolo.
Sedetevi, ho detto. Parlate.
E ho ascoltato. Una per una.
Senza zittire nessuno.
Ho fatto da psicologa, da madre, da giudice imparziale.
Non sapevo neanche di avere tutte quelle voci dentro di me.
Siamo un esercito. Piccolo, ma rumoroso.
E lì ho capito che siamo tutti dotati di risorse straordinarie.
Siamo come macchine con mille optional.
Solo che a volte nessuno ci insegna a usarli.
Li abbiamo chiusi in qualche stanza interiore con l’etichetta “da sistemare”.
Eppure, sono lì.
Pronti.
Intatti.
La sofferenza, a ben guardarla, arriva proprio per questo:
per svegliarci.
Non per distruggerci.
Ma per bussare forte.
A volte con la gentilezza di un pugno.
Ma non sveglia tutti.
Dipende da come scegliamo di rispondere.
Possiamo usarla per inaridire il cuore, chiuderlo, irrigidirlo.
Oppure possiamo lasciarla fiorire, trasformarla in qualcosa di nuovo.
Lui, evidentemente, ha scelto la prima strada.
E sì, se avessi potuto scegliere il Paese dei Balocchi, lo avrei fatto.
Senza esitazione.
Avrei firmato.
Avrei chiesto pure il Wi-Fi.
Ma siamo qui.
Sul pianeta Terra.
Nel caos, nel dolore, nel disordine magnifico delle nostre emozioni.
E allora, cosa possiamo fare?
Scegliere.
Io non ho grandi verità universali da offrire.
Non conosco la mappa del destino, né i segreti del subconscio.
Ma conosco me stessa, un pochino.
E so che ogni volta che ho trasformato il dolore in qualcosa, un gesto, un testo, una risata, ho fatto un passo fuori dall’Inferno.
Create.
Cantate.
Ballate.
Prendete quel dolore, ascoltatelo, ascoltatevi.
E fatene benzina.
Non per dimenticare.
Ma per ricordare chi siete.
Non so se questo vi salverà dal soffrire.
Ma so che ci sono delle strade.
Strade che portano avanti, altrove, o semplicemente più vicino a voi stesse.
E a volte, è tutto ciò che serve.
Con amore,
Elena
Morale della favola?
Il dolore non si evita, il vino finisce, e le valigie a volte se le portano davvero via.
Ma restare con sé stesse, anche solo per una notte, può essere l’inizio di una storia d’amore che non si lascia più.
The moral of the story?
You can’t avoid the pain, the wine runs out, and sometimes they really do take the bags with them.
But staying with yourself, even if just for one night, can be the beginning of a love story that never lets go.